Uno dei motivi per cui a mio avviso bisogna essere felici che esistano anche nel mondo del vino i grandi gruppi, è che questi hanno, a differenza delle piccole e medie aziende, capitali a sufficienza per poter investire anche in vere ricerche di mercato. Due anni fa, ad esempio Constellation Brands aveva condotto il progetto Genome, che aveva l’obiettivo di costruire una mappatura psicologica del consumatore del vino americano – ma i risultati erano facilmente applicabili anche in Italia – suddividendolo in sei categorie che ricordavano la mappatura di Sinottica: entusiasti, attenti all’immagine, acquirenti saggi, tradizionalisti, degustatori soddisfatti, e spaesati. Lo studio presentato da poco da Santa Margherita e realizzato in collaborazione con Tomorrow Swg, ha puntato al contrario a tracciare un profilo del consumatore secondo canoni di ricerca più “tradizionali”, ma trattandosi di una ricerca focalizzata sul consumatore italiano, è certamente d’interesse.
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Nell’articolo, di per se interessante, manca totalmente l’aspetto metodologico. La ricerca è stata fatta su un campione rappresentativo? Se si, rappresentativo di cosa, di una o più regioni oppure dell’intero Paese? Quanti sono stati gli intervistati contattati e come? Senza questi elementi i risultati non dicono molto.