All’epoca del mio primo stage, il mio tutor tutto PNL ricordo che mi diceva: “Slawka, ricordati che non devi dire mai che hai un problema! Di’ sempre che hai un’opportunità.” Così quelli che “un tempo” producevano il Tocai in Friuli, hanno ora un’opportunità, e giustamente stanno puntando, o spero punteranno, a sfruttarla. Di questo parere sembrerebbe essere Massimo Di Lenardo di cui ripesco una recente intervista apparsa su winenews e che ha detto: “È una situazione che sarebbe ridicola se non fosse tragica. Ormai quasi tutti i produttori hanno accettato il nuovo nome Friulano, che bello o brutto che sia, collega al territorio. Non si capisce perchè le cooperative si ostinino a combattere una battaglia persa, dal momento che l’Unione Europea ha detto più volte che la decisione presa non cambierà. Anzi la vicenda ha portato attenzione sul Tocai, che in fondo a livello di mercato è poco più di una chicca, 2 milioni totali di bottiglie divise tra tutti i produttori non sono niente. Il nuovo nome Friulano, invece, potrebbe essere sfruttato per rilanciare questo vino nel Mondo come bandiera del Friuli.”

Un approccio interessante perchè al di là degli investimenti ridicoli (ridicoli nel senso che sarebbe stato meglio poterseli risparmiare, ovviamente) che bisogna fare per comunicare il nuovo nome a causa delle decisioni comunitarie questo è il classico caso di problema che, agli occhi dei produttori accorti, si potrebbe trasformare in un’opportunità. Già anni fa Radikon aveva lanciato la sua etichetta Jakot (vediamo chi capisce da dove deriva il nome…) dimostrando lungimiranza e creando da subito un vino che già aveva le carte per far parlare di sè. Pighin, dal canto suo, esordisce nei comunicati del Vinitaly con “Cambia il nome ma non il gusto.” Insomma, spero davvero che i produttori sfruttino l’attenzione data a questo bel vitigno e reagiscano al meglio nel gestire questo problema, ops… questa opportunità.

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