Sono finite le cose da dire, oppure la situazione è così drammatica che serve dire cose banali? Andando a guardare tra le tante newsletter a cui sono iscritta, mi sono imbattuta in questo articoletto, dove si cerca di evidenziare come sia necessario diventare creativi per vendere il vino al ristorante. Peccato poi che gli esempi citati sono così vecchi che sinceramente mi viene un po’ di tristezza.

Il primo esempio, è stato quello di un ristorante tedesco in cui per vendere l’eiswein – non riuscendo a piazzare bottiglie e mezze bottiglie, si è passato alla vendita di un quantitativo limitato (50 ml). Vino al bicchiere? E la chiami scelta creativa?
Onestamente, lo sappiamo tutti che ormai al ristorante si tende a prendere primo e secondo o antipasto e un’altra portata, e che il dolce non si prende necessariamente sempre. Ma se il dolce a tavola lo prende una sola persona, e magari gli altri sono stracolmi, e magari tentano di finire la bottiglia di rosso ordinata perché non c’è ancora la doggy-bag, che ci faccio con una bottiglia intera di Eiswein? Non è meglio appunto offrire il vino al calice? E serve proprio scomodare la parola “creatività” per un esempio del genere?

Peggio mi sento leggendo la citazione di Serge Dubs, presidente dell’Union de la Sommellerie “It is obligatory to have the same regard for someone who drinks a glass or even refuses wine as for someone who buys a bottle” – è obbligatorio avere lo stesso rispetto per chi beve un bicchiere, o rifiuta ancora il vino, che per chi compra una bottiglia. Ma stiamo scherzando a dire queste cose? Che vuol dire, che prima di questa precisazione il sommellier e il resto del personale di un ristorante si potevano permettere di fare gestacci a chi era astemio?

Visto che tanto si parla di banalità, ne tiro fuori una dal cappello… Pronti per la magia?? Rullino i tamburi per la nuova, esaltante, regola numero uno del marketing del vino al ristorante…

Il cliente ha sempre ragione.

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