Apologia della globalizzazione

Ne avevo già parlato con qualche accenno in un post precedente. Ho approfondito l’argomento sul pezzo di questo mese nella rubrica Enomarketing di Tigulliovino.

[Incipit] C’è chi parla di globalizzazione come se si trattasse di fillossera. Il più recente male che sta affliggendo la vite, per giunta in tutto il mondo, con una diffusione così capillare che neanche le viti allevate ai limiti della zona coltivabile riescono a scampare. Altro che piede franco! Ma è davvero così “cattiva” la globalizzazione? Quali sono dunque i suoi effetti? Tra gli elementi negativi c’è innanzitutto il problema più grande legato alla globalizzazione, e cioè l’omogeneizzazione della produzione. Pensiamo ad esempio al diffondersi ovunque di vini che rispondo al cosiddetto “gusto internazionale”. O al fantomatico vino-cocacola, cioè un’etichetta unica, distribuita in tutto il mondo di cui si parlava tempo fa. O più recentemente alla prossima modifica della denominazione tedesca Mosel-Saar-Ruwer in un semplice Mosel perché il consumatore, magari straniero, non riesce a pronunciare il nome del vino… Continua a leggere l’articolo su Tigulliovino

Foto di Alex Ling

Questo articolo è disponibile anche in: Inglese

Consulente di comunicazione e marketing enogastronomico per aziende piccole e grandi. Docente presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, lo IUSVE di Venezia e la Fondazione E. Mach. Autrice di vari volumi tra cui i manuali Marketing del vino (terza edizione 2021, Edizioni LSWR), Marketing del gusto (2015, Edizioni LSWR, con Luciana Squadrilli), e Marketing dei prodotti enogastronomici all'estero (2017, Edizioni LSWR, con Luciana Squadrilli e Rita Lauretti).

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