Faccio parte di quelli che sono convinti che il vino si identifichi con il produttore, soprattutto quando si parla di piccole produzioni. E’ un principio a cui tengo molto.

In questi giorni alcune affermazioni offensive, razziste, violente, rivolte al Ministro per l’Integrazione Kyenge da parte di Fulvio Bressan, produttore di vino friulano, sulla sua bacheca personale (ma visibili a tutti, essendo i post pubblici – così mi sono permessa di fare qualche screenshot: 1, 2), stanno creando parecchio disdegno in rete tra appassionati ma anche operatori – vedi ad esempio il post di Giuseppe Palmieri. Perché se il vino si identifica col produttore, allora non si può comprare il vino di un produttore che si esprime così. Allora la reazione umana è boicottare.

Ci dimentichiamo troppo spesso l’effetto boomerang dei social network. Possono essere un ottimo strumento di visibilità, certo, ma dipende cosa rendiamo visibile. Come ha scritto Davide Cocco in un post molto lungimirante, datato agosto 2009, “… in questo modo possiamo farci un’idea del signor produttore, capire come la pensa, verificare la compatibilità della sua personalità con la nostra. Ciò ci permette di avere un ulteriore criterio di scelta o, vedendola da un altro punto di vista, una ulteriore variabile di assaggio e di valutazione. E di complicare le cose…”

 

EDIT segnalo anche il post di Puntarella Rossa e quello di Katie Parla assieme a Hande Kutlar Leimer.

2 risposte

  1. D’accordissimo con tutte le considerazioni espresse, comprese quelle riguardo all’effetto boomerang dei social ma… secondo lei quante persone di fatto vanno a vedere (in italia) chi sono i produttori del vino che si consuma? Quanti consumatori approfondiscono effettivamente questi aspetti? (Mi riferisco alla maggioranza ovviamente, non agli appassionati o professionisti).

    Personalmente sono un promotore del boicottaggio nel senso che è qui proposto: si tratta di un atteggiamento ad esempio piuttosto diffuso in america dove chi si comporta come il personaggio citato viene immediatamente penalizzato dalla clientela. Non sono però certo che qui in Italia la cosa funzioni allo stesso modo, in fondo basta dare un’occhiata anche al di fuori del mondo del vino.

    Purtroppo.

  2. Non serve la maggioranza anche perché non stiamo parlando di prodotti di massa ma di vini di nicchia. In realtà bastano gli appassionati e gli operatori. Se un sommelier decide di non avere in carta il vino di un produttore perché non si trova d’accordo con certi suoi atteggiamenti allora va da sé che anche il consumatore finale ne verrà (inconsapevolmente) influenzato.

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