Giusto qualche settimana fa avevo scritto del nuovo format di enoteche che riduce il numero di referenze a scaffale rendendo più semplice la scelta anche grazie a categorie ben definite e comprensibili di prodotto. Trovo giusto oggi questo articolo pubblicato sul NY Times in cui si parla proprio di questo. Il punto di partenza, risultato di alcune analisi, è il fatto che davanti a troppa scelta ci paralizziamo: il terrore di fare la scelta giusta ci impedisce di prendere una qualsiasi scelta o comunque diventa un po’ frustrante. E anche se non ammettiamo di soffrire ancora di questo problema sono certa che tutti noi ricordiamo ancora bene quando da piccoli – esempio menzionato nello stesso artico – non sapevamo mai che gusto di gelato scegliere (a meno che non avessimo un abbinamento fisso del tipo cioccolato-fragola-limone).

La cosa interessante è che hanno fatto uno studio con le marmellate: facendo un confronto tra assortimento ampio e assortimento ristretto nello stesso supermercato, si è notato che più persone si avvicinavano all’assortimento ampio mentre in proporzione “snobbavano” l’assortimento modesto. Ora, fin qui niente sorprese, quello che invece è più interessante è che la percentuale di chi acquistava il prodotto davanti a un assortimento modesto era nettamente più alta rispetto a quando uno si trovava davanti a tantissima scelta. Insomma, dammi 10 opzioni e una la scelgo, dammene 100 e cammino via col cestino vuoto…

Aspetto ancora più interessante il fatto che secondo altri studiosi ancora, il problema non è tanto della possibilità  di scelta quanto delle informazioni a disposizione… Dammi 100 opzioni e un criterio utile per scegliere e sceglierò.

8 risposte

  1. Insomma il buon vecchio : “poco ma buono”!
    Non ho dubbi in proposito, ecco perchè in tutto il mondo vi è una tendenza, e parlo dei distributori di vini, a restringere, anche in modo importante, le referenze a disposizione.
    Sono convinto che nel futuro vedremo sempre più emergere la qualità, oggi nel mondo del vino vi è davvero una moltitudine di prodotti che direi senz’anima e quindi inutili.

  2. Post interessante, sul quale mi trovo completamente d’accordo. Specialmente sulle ultime due righe. In enoteca quando mi trovo ad aumentare l’assortimento di una determinata tipologia di vini, faccio sempre in modo di mettere in evidenza le caratteristiche di due o tre di essi.
    L’attenzione del cliente si sposta inevitabilmente sui tre evidenziati e poi con l’aiuto dell’enotacario 🙂 arriva più facilmente alla decisione.

  3. Io guarderei il problema da un altra prospettiva: minore è la consapevolezza e conoscenza del consumatore, maggiore è il disorientamento di fronte ad una scelta ampia.
    La soluzione per me non è ridurre la scelta, mai. Piuttosto sarei per aumentare con la comunicazione e il marketing le conoscenze del consumatore.
    Almeno questa è la mia opinione

  4. Mi sembra che l’eventuale difficoltà di scelta abbia più un risvolto psicologico che altro; anche di fronte ad una minore possibilità, non è detto che possa essere superata. Forse un aiutino, anche di tipo tecnologico in loco, potrebbe essere gradito all’utente.

  5. Io ricordo di aver sempre comprato di piu con piu scelta a disposizione. Perche tra tanta scelta (pazienza che si passano le ore, ma è un piacere) compro anche bottiglie che non sono chissa cosa, ma sapendo che sarà difficile ritrovarle preferisco metterle in cantina quando le incontro.

    Ma il discorso vero sarebbe da fare sul vino di tutti i giorni che non puo essere sempre tutti i giorni un vino ricercato e di gran pregio, è che è anche quel vino che fa i grandi volumi e il fatturato e che consente di battere poi la strada della qualita o superqualità.

    Oggi, e io lo considero un guaio, è difficile a trovare un vino da tavola di tutti i giorni a 3-4-5 euro. Intendo un vino fatto d’uva, senza grandi pretese, ma anche senza sentire puzza di benzine varie.

    Io considero meno grave perdere un cliente (per il mercato del vino in generale) da una bottiglia da 50 euro ogni tanto che perdere un cliente che consuma una bottiglia da 5 euro al giorno tutti i giorni tra pranzo e cena perche alla fine si convince che sta meglio se beve acqua, e rimandare il vino a…

  6. Condivido le perplessità di Gregorio, che con il suo intervento apre ad una discussione ampia ed infinita; e cioè non solo gli aspetti qualitativi tout court ad un giusto prezzo, ma anche se questi trovino riscontro nel sistema delle denominazioni attuale e rappresentino queste, ancora una garanzia per il consumatore; e questo vale sia per le enoteche che per la grande distribuzione.
    Comunque mi sembra di notare da un po’ di tempo a questa parte, perlomeno nel mio ambito territoriale, un sensibile miglioramento dei vini cosidetti base…se può essere di consolazione.

  7. Volevo confermare l’ultima affermazione di Rinaldo, ovvero che nell’ultimo periodo la qualità dei vini base è aumentata notevolmente. E meno male(!), vorrei aggiungere, visto che ormai troppo spesso le aziende si erano dedicate alla produzione di 1,2 vini eccelsi, tralasciando la qualità di tutti gli altri prodotti della gamma.Un’azienda di qualità di riconosce da TUTTE le sue produzioni, partendo proprio dai vini base.

    Tornando però all’articolo in questione,credo sinceramente, che non sia tanto un problema di quantità di bottiglie sullo scaffale, ma proprio di cultura sul vino. Dobbiamo aumentare la comunicazione perchè tutti riescano ad orientarsi in questo mondo.

  8. Salve a tutti.

    Mi farebbe piacere sottolineare la semplice e valida regola del 20/80.

    Generalmente in un assortimento per quanto possa essere ampio il 20% delle etichette genera l’80% del fatturato. I rimanenti vini sono per dare gamma, scelta ed opzioni al cliente.

    Quanti clienti ( escluso i romagnoli) secondo voi si azzarderebbero ad acquistare un buon Pignoletto ?

    Cordialmente
    Angelo

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