Giusto oggi ho trovato un articolo di Jancis Robinson apparso all’inizio del mese sul Financial Times in cui fa una bella panoramica di una certa inversione di tendenza che ha colpito il vino australiano. Dopo il grande boom degli anni passati, quando i vini australiani sembravano giungere in tutto il resto del mondo e sgominare qualsiasi potere pre-esistente, questi stessi vini hanno subito una battuta d’arresto, un’inversione di tendenza. E tutto ciò, e qui sta il paradosso, mentre di fatto la qualità dei vini australiani è migliorata.

Questione di immagine, sostiene Jancis Robinson. Come nel caso del mercato statunitense dove ad esempio i vini australiani sono stati penalizzati dagli innumerevoli brand che cercavano di scopiazzare il Yellow Tail, ma con una qualità decisamente inferiore. Nell’alto di gamma, invece, c’è stato un eccessivo pompare da parte di Robert Parker. Quanto al Regno Unito, la Robinson tira in ballo le dinamiche delle multinazionali e il portafoglio prodotti in crisi di identità della Fosters. Poi ci sono lo scandalo della Palandri nella wine region della Margaret River, che paradossalmente è priva di vigneti, e il fatto che gli australiani stessi stiano bevendo meno vino nazionale, rispetto a prima, mentre aumentano il consumo di quello importato.

Insomma, a volte fare piani marketing ventennali non basta… O magari, grazie alle capacità dimostrate finora, saranno più veloci a riprendersi di quanto non sarebbero stati gli altri.

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